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Stile - Paragrafo 9 - Willem Brouwer

9. Tipologia dell'evoluzione e fenomenologia degli stili 

Parliamo di stile quando osserviamo il manifestarsi di una permanenza, di una invariante, quando siamo in presenza di un fenomeno che ha carattere generale piuttosto che unico e istantaneo.
Allo stesso tempo gli stili si differenziano e si distinguono tra loro per alcuni tratti caratteristici e riconoscibili.
Nella loro variabilità e temporalità gli stili costituiscono dei fenomeni:
appaiono e scompaiono, nascono e muoiono.
Ogni stile, durante le fasi della sua apparizione e del suo sviluppo, stabiliscono dei rapporti con gli stili precedenti e con gli stili di settori attigui, confermando, rispettando o ricalcando talune caratteristiche di essi, opponendosi invece ad altre che vengono represse, contraddette o eliminate.
L'individuazione di eventuali schemi di ricorrenza, di una tipo-"logia", di "leggi" che guidano il susseguirsi di questi fenomeni nella storia dell'evoluzione è la ricerca che sottende il lavoro di coloro che hanno voluto redigere una "fenomenologia degli stili". Senza ricondurre il termine "fenomenologia" alla sua precisa scuola filosofica di appartenenza, e senza insistere sulla nozione dell'apparire, che rischia di privilegiare una lettura contemplativa anzichè operativa, l'uso del termine in questo contesto sta piuttosto a sottolineare il tentativo di fissare nella loro mutazione gli elementi costanti e di invarianza su cui si misurano gli elementi della variabilità.
Sappiamo onnipresente la capacità segnica, nelle cose come negli esseri viventi, ma quella simbolica è propria dell'uomo. Egli è l'unico a disporre di una facoltà di memorizzazione oggettiva e della facoltà di produrre il nuovo.
Memorizzazione e Simbolizzazione sono nozioni basilari della cultura dell'uomo di progresso. Di fatto si è spesso tentato di spiegare la nascita delle correnti artistiche e degli stili, riconducendoli e legandoli alle grandi invenzioni e scoperte dell'uomo nella storia. Per mettere in evidenza gli aspetti distintivi della cultura dell'uomo, quest'ultima viene suddivisa in due strati: lo strato propriamente materiale che riguarda l'impegno fisico dell'uomo sull'ambiente ("coltura" in senso letterale), e lo strato ideazionale che riguarda invece il suo impegno ideativo e progettuale.
Gli studi compiuti dai teorici dell'arte sono spesso segnati da un interesse particolare per gli sviluppi e gli avvenimenti in uno dei due strati invece che in entrambi. La celebre nozione di  "forma simbolica", introdotta dal Panofsky (1), prende in considerazione quasi esclusivamente lo strato "alto" della cultura, ignorando quello "basso" della tecnologia materiale. Alla forma  simbolica della prospettiva rinascimentale, così teorizzata, gli studi di McLuhan (2), riguardanti lo stesso periodo storico, accostano una teoria che si sviluppa, invece, a partire dalle importanti scoperte della tecnologia materiale con tutte le sue implicazioni ideazionali: la stampa a caratteri mobili. Mentre è opportuno cogliere la distinzione fra i due strati della cultura dell'uomo, bisogna evitare allo stesso tempo di ricadere nelle frequenti dispute che hanno contrassegnato i diversi momenti della storia culturale: materia contro spirito, naturalismo contro idealismo, empirismo contro razionalismo, ecc.
Di fatto si può dire che esiste una relazione dinamica fra i due strati, con notevole grado di interdipendenza, per cui l'uno modifica l'altro e viceversa, in un susseguirsi continuo di azioni e reazioni.
Per lo studio degli stili è interessante rilevare come le arti, tra cui l'architettura, siano state promosse progressivamente da un ruolo che si inserisce nel primo strato, ovvero dall'artigianato o dalla arti servili, fino al compito di raggiungere gli alti valori qualitativi dettati dagli ideali emersi nello strato alto della cultura.
E' esemplificativo a questo proposito, il crescente grado di nobilitazione cui è soggetto lo stato dell'artista, dalla antichità al Rinascimento, e via di seguito dalla prima rivoluzione industriale fino ai giorni nostri. Ma anche l'impostazione della trattatistica dell'architettura, che da un prevalente aspetto pratico riguardante l'arte del costruire, diventerà sempre più astratta e impregnata di ideali.
Aristotele per primo individua, nella tradizione occidentale, alcune tipologie di evoluzione e di mutamento, che egli riconduce all'esistenza di tre forme di discorso: quello analitico, quello dialettico e quello retorico. La ragione analitica parte del presupposto che sia possibile stabilire dei postulati e degli assiomi "veri", da cui, mediante procedimenti logici, si possono ottenere altre "verità".
La ragione dialettica si fonda sul grado di approvazione da parte degli interlocutori per stabilire non delle verità assolute, ma dei gradi più o meno alti di probalità. Infine la ragione retorica si avvale della presenza immediata degli interessati per ottenere il consenso o meno.
Per noi, oggi, è possibile osservare come le tre forme del discorso, della ragione, si sono alternate e/o combinate nelle diverse epoche storichestilistiche, segnandone la produzione artistica. 
Vediamo il trionfo della retorica nell'età classica (Cicerone), il prevalere della dialettica nei secoli del basso Medioevo, il ritorno alla retorica col ritorno alle scienze dell'uomo durante l'Umanesimo, ecc.
Anche se la logistica aristotelica proviene da tempi lontanissimi e molto diversi dai nostri, e inquadra difficilmente il modo di pensare attuale, riesce tuttavia a essere di nostro interesse nella impostazione metodologica del nostro operare artistico. Così con la svolta contemporanea, caratterizzata dall'avvento della tecnologia elettronica, è importante rilevare le nuove condizioni che favoriscono il prevalere della ragione dialettico-retorica, sulla ragione analitica dal momento che parti sempre maggiori di queste vengono affidate alla capacità di elaborazioni ad alta velocità del computer. Inoltre contribuiscono alla riemersione del discorso retorico le nuove e sempre più diffuse tecniche di trasmissione del suono e dell'immagine, che hanno rivalutato gli aspetti dell'apparenza e della convinzione, ovvero quelli comportamentali, gestuali e acustici ai quali il discorso retorico ha sempre fatto appello. Infine è importante notare che, come scrive Renato Barili (3), la dialettica e la retorica implicano in sè lo scorrimento del tempo poichè esse si svolgono attraverso un'articolazione di fasi conflittuali, richiedendo anche l'intervento di soggetti diversi: sono tecniche fondamentalmente eterologiche e non tanto logiche, come invece è il pensiero analitico, che proprio per questa sua caratteristica può annullare la dimensione del tempo e svolgersi in una specie di acronia e simultaneità.
Fondamentale per una fenomenologia degli stili è l'opera di Heinrich Wolfflin (4), che nasce in Svizzera nel 1864. Come i suoi noti coetanei Husserl, Bergson e Saussure egli s'impegnerà a combattere le convinzioni della mentalità positivista, di concezione nominalista, che attribuisce alle forme generali un valore e una natura di second'ordine, derivata dagli aspetti singoli per via dell'astrazione e delle medie statistiche. Ma le teorie di Wolfflin s'oppongono anche a quelle elaborate dagli idealisti hegeliani e, in particolare, alla filosofia crociana che tenta di conciliare il particolare e l'universale, ma a scapito di quest'ultimo. Per Croce, la spiccata individualità di cui l'artista impregna la sua opera, fa sì che essa diventi unica, irripetibile e incomparabile ad altre opere d'arte vicine o lontane, nel tempo e nello spazio.
Wolfflin, superando la lezione kantiana che coglie le forme del generale in un loro stato acronico, introduce nella sua ricerca sulle grandi formazioni e creazioni collettive, la nozione del tempo della storia come uno delle principali variabili. Osserva come gli stili variano nel tempo e si succedono gli uni agli altri. Ciò implica una doppia lettura: una, la prima, che rapporti l'opera allo stile di un'opera; un'altra, la seconda, che colga l'evolversi, il mutarsi di quest'ultimo col fluire dell'asse storico. Nascono così le celebri coppie wolffliniane che sono le cinque polarità: lineare-pittoresco, superficiale-profondo, forma chiusa forma aperta, molteplicità-unità, chiarezza-oscurità.
E' importante notare che la codificazione di Wolfflin fa anche i conti con l'idea di una storia o evoluzione naturale degli stili. Essi sono, invece, dei sistemi culturali, ognuno dei quali ha la sua ragione d'essere e la sua dignità, incluso il Barocco e il Rococò. Viene messa in evidenza cioè, il relativismo storico-culturale, Le cinque coppie stanno ad indicare, inoltre, un senso unico nell'andamento da uno dei loro termini all'altro; per cui dal chiuso, per esempio, si passa all'aperto e non viceversa.
Nel suo schema di variazione, Wolfflin introduce un carattere di ciclicità nella storia degli stili, il che spiega i grandi ritorni e i revivals. Per esempio, dopo il Seicento e la prima metà del Settecento sono dominati in lungo e in largo dal Barocco e dal Rococò, col relativo trionfo dei secondi termini di ciascuna delle coppie (il pittoresco, il profondo, l'aperto, ecc.), tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento, si sente il bisogno di azzerare la consecutio e di ricominciare daccapo, ritornando a forme chiuse, ben scandite, articolate, chiare, ecc, (5).
Alcune limitazioni della fenomenologia degli stili di Wolfflin, che tuttavia non compromettono la portata generale del suo metodo, sono la insufficiente articolazione storiografica del suo approccio e l'assoluta mancanza di una indagine interdisciplinare. La prima limitazione risulta talvolta in un appiattimento della lettura dei fenomeni, mentre la seconda risulta frequentemente in un'eccessiva insistenza sugli aspetti interni o formali dello stile, a scapito di quelli esterni o di relazione con le altre discipline dell'epoca. Del lavoro di Wolfflin probabilmente la coppia più famosa rimasta è quella dell'aperto e del chiuso, che ritroviamo ripresa in numerose ricerche (basti pensare all'opera aperta" di Umberto Eco (6)).
Ciò sarà anche dovuto alla sua maggiore estendibilità e applicabilità ad altre discipline. Per esempio, è abbastanza facile rilevare quanto le epoche a fondamento gutenberghiano-meccanico, si identificano meglio col primo termine "chiuso", mentre l'epoca attuale, caratterizzata da una rivoluzione tecnologica di specie elettrotecnicaelettronica, si rapporta senza dubbio al secondo termine "aperto". E' ragionevole supporre che queste due serie morfologiche, l'una rigida, geometrica e centrale, l'altra fluida curvilinea e diffusa, hanno avuto e avranno, col manifestarsi, i loro echi e le loro corrispondenze a livello stilistico in tutte le discipline. Può considerarsi d'obbligo per chi oggi indaga sulla fenomenologia degli stili, soffermarsi sull'opera di un famoso coetaneo di Wolfflin: Ferdinand de Saussure.
Tutti e due dichiarano l'importanza di riportare l'individuo, il caso singolo, al tipo, alla famiglia, allo stile. Per Saussure la "lingua" costituisce quell'entità sincronica che interagisce continuamente con il momento diacronico della "parola". Mentre la "langue", come viene definita in vari passi del suo Corso di linguistica generale, è il "prodotto sociale della facoltà del linguaggio"; l'insieme delle "associazioni ratificate dal consenso collettivo"; parte "del linguaggio, esterno all'individuo, che da solo non può crearlo nè modificarlo", "la parola, al contrario, è un atto individuale di volontà e di intelligenza, nel quale conviene distinguere:

1) le combinazioni con cui il soggetto parlante utilizza il codice della lingua in vista dell'espressione del proprio pensiero personale,
2) il meccanismo psico-fisico che gli permette di estendere tali combinazioni" (7).

Questa dicotomia dialettica, "langue/parole", insieme alle nozioni di "sistema", "struttura" e "codice", è stata rilanciata con molto vigore alle soglie degli anni '60, con una vera riscoperta e rivalutazione della linguistica saussuriana che diventa il modello generativo per tutta l'impresa semiotica (8).
L'applicazione di questa "scienza dei segni" conoscerà una sua estensione via via sempre più ampia, fino a voler includere l'intero universo culturale. Un personaggio di primo piano per l'iniziativa semiologica, sarà Roland Barhes la cui opera, il Sistema della Moda (9), costituisce uno dei migliori esempi di questa volontà classificatoria e combinatoria. Egli ne spiega il senso nel suo saggio L'attività strutturalista:
"Lo scopo di ogni attività strutturalista, riflessiva o poetica che sia è di ricostruire un 'oggetto', in modo da manifestare in questa ricostruzione le regole di funzionamento (le 'funzioni') di questo oggetto. La struttura è dunque in realtà un simulacro dell'oggetto, ma un simulacro orientato, interessato, poichè l'oggetto imitato fa apparire qualcosa che restava invisibile, o, se si preferisce, inintellegibile nell'oggetto naturale. L'uomo strutturale prende il reale, lo scompone, poi lo ricompone; è ben poco, in apparenza (e c'è che sostiene che il lavoro strutturalista è 'insignificante, privo di interesse, inutile, ecc.).
Pure, da un altro punto di vista, questo poco è decisivo; perchè tra i due oggetti, o i due tempi dell'attività strutturalista, si produce del nuovo, e questo nuovo è niente meno che l'intellegibile generale; il simulacro è l'intelletto aggiunto all'oggetto, e questa addizione ha un valore antropologico, in quanto è tutto l'uomo, la sua storia, la sua situazione, la sua libertà e la resistenza opposta alla sua mente dalla natura" (10).
Secondo Barthes allora, questo esercizio della struttura rappresenta "una esperienza distintiva". L'artista-strutturalista costruisce un oggetto che non è altro che un simulacro teorico di un oggetto (o di più oggetti) reale; egli fabbrica un mondo simile a quello da cui è partito "per renderlo intellegibile" (11).
L'architettura mette in forma ciò che non le appartiene (un sistema di relazioni sociali, un modo di abitare e di stare insieme).
I segni dell'architettura hanno un significato originario e denotativo che gli viene conferito appunto dalla funzione, e un significato secondo o connotativo che sta nella loro valenza simbolica, assunta attraverso una storica stratificazione.
Il compito dell'architetto diventa allora quello di progettare funzioni prime (denotative) variabili e funzioni seconde (connotative) aperte (12).
Di fatto l'opera architettonica, come del resto tutte le opere artistiche, a differenza degli altri fatti storici, che devono affidarsi ad un linguaggio ad essi eterogeneo per essere fissati nella storia, continua a manifestarsi attraverso la sua tangibile presenza.
Il cambiamento connotativo di cui parla Eco, il "consumo" di significato indicato da Dorfles, come questa analisi di tipo associativo, con i suoi parametri mentali, vertuali, eteronomi, ecc., sono tutti tentativi di cogliere le valenze semantiche dell'opera architettonica nella loro complessità e pluralità.
L'intrinseca natura consumistica ed anti-ideologica della cultura odierna, post-industriale o post-moderna che dir si voglia, che ammette di tutto, conserva e corrode tracce di tutto, dall'Illuminismo al misticismo, dal classico al moderno, fa si che tale disamina si mostri, per chi interpreta e per chi progetta l'architettonico, tanto ardua quanto necessaria.
Renato de Fusco propone la costruzione di un codice dell'architettura per arrivare a un'organizzazione esatta, sistematica e generalizzante della progettazione, tale da poter "parlare correttamente la lingua archi-tettonica del nostro tempo", e da "rendere prevedibile e generalizzabile la conformazione di qualsiasi evento" (13).
Un'impresa resa possibile, sempre secondo de Fuse(); grazie alla semiologia architettonica che riconosce nell'architettura l'esistenza di un rapporto dialettico analogo a quello riconosciuto e dimostrato nella lingua dalla linguistica strutturale; cosicchè questo codice si sostiene e si costruisce sulla storia dell'architettura che viene intesa come continuità diacronica dì una langue, posta in essere da una serie innumerevole di atti di parole.
La nozione che praticamente coincide col codice-struttura proposto, è quella di stile; quindi la dicotomia dialettica langue/parole, ovvero codice/messaggio, trova la sua corrispondenza in architettura nel rapporto stile/fabbrica. Siccome la langue non è fattore isolato, ma il termine di una polarità, e non di dà langue senza parole, nè codice senza messaggio e viceversa, così occorrono allo stile le opere che lo incarnino e queste, a loro volta, non sono decodificabili senza il riferimento ad uno stile.
Affinchè il suddetto stile possa definirsi codice, esso sarà fondato su fattori costituenti una media del linguaggio architettonico per esprimere quel determinato modo di fare architettura nel quale si riconosce ed al quale si affida tutta una società.
Infine, essendo l'architettura una logotecnica, cioè un sistema linguistico che non assolve solo una funzione comunicativa, il suo codice viene posto più frequentemente in crisi dalle fabbrichemessaggi in quanto gli atti di parole non facciano rispetto alla langue.
Col tempo, le deficienze delle imprese di specie semiotica come quelle descritte qui sopra, si sono mostrate sempre più palesi. Lo stesso Roland Barthes nei suoi ultimi lavori si allontanò moltissimo dai furori classificatori e combinatori che lo sostenevano nel suo Sistema della moda. Anzi, il suo Frammenti di un discorso amoroso (14) si colloca all'estremità opposta della volontà di oggettività nella visione delle cose. Il fatto è che: cultori della semiologia-semiotica hanno specialmente privilegiato il primo termine del binomio lang/parole,ue lasciando cadere la dimensione della parola e della diacronia; mentre della "struttura" stessa, della langue, hanno effettuato una lettura, o addirittura una rifondazione, in chiave rigorosamente analitica.
Il dramma dell'oggettività è quello di investire il rapporto dell'arte, che invece di rendere personali dei concetti universali, si vede costretto a porsi come il comune denominatore del generale istituzionalizzato.
Concordiamo piuttosto con H. Focillon (15), che siamo noi, vale a dire, un soggetto collettivo, culturale e non naturale, che di volta in volta istituiamo certi stili, o decidiamo di abrogarli, di "voltar pagina". Solo che, nelle linee dello svolgimento stilistico, c'è qualcosa di più, forse, della volontà del singolo; in presenza di un pressante impulso delle esigenze collettive, il singolo effettua certe scelte in funzione di tali esigenze, di questa idea "che è nell'aria": scelte che gli altri potranno prontamente riprendere.

1. E. Panofsky, il suo saggio famoso è del 1927, trad. it. La prospettiva come 'forma simbolica" e altri scritti, Milano, 1.961.
2. M, McLuhan, La Galassia Gutenberg, trad. it., Roma, 1976.
3. R. Barilli, Culturologia e Fenomenologia degli Stili, ed. Il Mulino, Bologna, 1982.
4. H. Wedfflin, Prolegomena zu einer Psychologie der Architektur, (1886). Rinascimento e Barocco (1888) L'arte Classica. Introduzione al Rinascimento Italiano (1899) Principi fondamentali della storia dell'arte (1915)
5. Cfr. R. Barilli, ibidem - Una simile constatazione la si vede nelle parole di E.N. Rogers, quando, interrogandosi sulla crisi del Movimento Moderno, scrive: "Considerando la storia come processo, si potrebbe dire che è sempre continuità o sempre crisi a seconda che si voglia accentuare le permanenze piuttosto che le emergenze; ma per una più precisa comprensione del discorso, è meglio chiarire intenzionalmente l'interpretazione filologica dei termini in uso: il concetto di continuità implica quello di mutazione nell'ordine della tradizione. Crisi è rottura-rivoluzione, cioè il momento di discontinuità. dovuto all'influenza di fattori nuovi (non reperibili nei momenti precedenti se non come contrari a quelli che scaturiscono per opposizione, dall'impellente esigenza di novità sostanziale)
6. U.Eco, Opera Aperta, ed. Bompiani, Milano, 1962.
7. F. de Saussure, Corso di Linguistica Generale, op, cit. pp. 23-24.
8. Secondo Saussure (1916) "la lingua è un sistema di segni esprimenti delle idee e, pertanto, è confrontabile con la scrittura, l'alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici, le forme di cortesia, i segnali militari, ecc, ecc. Essa è semplicemente il più importante di tali sistemi. Si può dunque concepire un scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale; essa potrebbe formare parte della psicologia sociale e, di conseguenza, della psicologia generale; noi la chiameremo semiologia. Essa potrebbe dirci in cosa consistono i segni, quali leggi li regolano. Poichè essa non esiste ancora non possiamo dire che cosa sarà,; essa tuttavia ha diritto a esistere e il suo posto è determinato in partenza".
9. R. Barthes, Il Sistema della Moda, trad. it., Torino, 1969.
10. R. Barthes, L'attività strutturalista, in saggi critici, Einaudi, Torino, 1966, p.246.
11. R. Barthes, ibidem
12. U. Eco, ibidem, p. 246.
13. R. de Fusco, "Egli fa l'esempio di un caso di esatta previsione in architettura: il committente di un edificio rinascimentale a tre piani sapeva esattamente, finchè vigevano alcune norme, che l'architettura avrebbe disposto in successione gli ordini dorico, ionico e corinzio". p. 133.
14. R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, trad. it., Torino 1979.
15. H. Focillon, La vita delle Forme, trad. it., Milano 1945.

BIBLIOGRAFIA
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Willem Brouwer

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